di Lucio Fumagalli e Martina D’Andrea
Il master in Internet of Humans and Things è stato concepito per poter acquisire il massimo vantaggio dall’impiego delle tecnologie in favore dei beni culturali, focalizzando il proprio ambito d’intervento in particolare sui temi di carattere museale, collegati non alla sola conservazione delle opere ma anche alla loro valorizzazione.
L’elemento che riteniamo rappresenti il tratto originale e distintivo del progetto è l’osservazione d’insieme della relazione tra tecnologia e beni culturali, che cerca di esaminare, in ogni vicenda, il ciclo di vita completo del singolo bene: partendo dalle fasi di disegno dell’iniziativa, passando per la sua realizzazione, per la fruizione effettiva del bene, per la verifica delle mappe relazionali generate, cercando di non perdere mai di vista l’aspetto manutentivo che, se trascurato, porta spesso a rendere insostenibili, nel lungo periodo, soluzioni ed esperienze anche molto valide sotto il profilo culturale, a causa di costi proibitivi o del mancato adeguamento del progetto iniziale alle trasformazioni tecnologiche più all’avanguardia.
Il rapporto con gli strumenti digitali in genere, dunque, costituisce un elemento fondante del progetto Internet of Humans and Things.
Sebbene addolorati dalle conseguenze umane legate alla pandemia in atto, con grande entusiasmo accogliamo l’orientamento a superare le barriere fisiche imposte dal distanziamento sociale e dalla struttura stessa del patrimonio culturale, ricordando però come anche in questa circostanza si assista ad una tendenza di tipo prevalentemente integrativo rispetto a processi di realizzazione di nuove esperienze culturali: tendenza che, in generale, fa uso di pezzi di tecnologia senza ripensare l’idea stessa ed ampia di bene culturale e di museo in particolare.
È evidente che sarebbe assai ingeneroso e sconsiderato pretendere di riavviare una valutazione complessiva sul processo di fruizione del patrimonio culturale in un periodo così ridotto, a partire da una vicenda particolare, inaspettata, grave e di enorme vastità, che ci auguriamo sia limitata nel tempo.
Consideriamo, dunque, molto interessanti e stimolanti le iniziative di Istituzioni, pubbliche e private, mirate a rendere accessibili i luoghi della cultura attraverso strumenti digitali orientati alla massiva diffusività, pur tenendo conto dell’aspetto qualitativo.
Citiamo, per esempio, l’iniziativa, già in atto da tempo ma ampliata e potenziata in questi giorni di chiusura forzata dei luoghi della cultura, del nostro Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, che mette a disposizione, attraverso il canale Youtube istituzionale, interviste ed approfondimenti sulla storia, la tradizione e le belle arti del nostro paese, o il progetto di Google, che, dal 2011, attraverso la sezione Arts & Culture, permette di ammirare le collezioni di punta e le opere meno note di oltre 2500 musei e gallerie d’arte internazionali aderenti.
Esperienze di questo genere, di natura certamente non sostitutiva rispetto alla visita reale, mantengono tutti i limiti che caratterizzano i percorsi espositivi che non permettano di entrare in relazione diretta con le opere. Hanno il vantaggio però di fornire all’utente la possibilità di effettuare agili ed agevoli confronti tra opere, epoche, correnti artistiche o comunità principali di riferimento.
Lo sforzo che intende sostenere, attraverso una solida trasformazione metodologica, il master in Internet of Humans and Things consiste nel riuscire a mantenere saldamente collegate la dimensione umana, nella quale rientra la visita diretta ai musei, alle collezioni e alle singole opere, e il mondo, in costante evoluzione, della tecnologia, che apre la possibilità di fruire del patrimonio culturale sia in loco sia a distanza, parziale o totale.
Riteniamo, infatti, che la ricchezza esperienziale legata al confronto diretto con un’opera sia unica, ma non per questo l’unica via possibile e neanche l’opzione, in alcuni casi, migliore: riuscire a porre a fianco di opere fisicamente presenti all’interno di una sala espositiva altre opere, collocate in luoghi diversi, ma rese presenti in modo virtuale, genera momenti di analisi, comparazione e raffronto molto importanti e, in alcuni casi, illuminanti.
I sistemi di realtà aumentata, sostenuti dalle tecnologie olografiche in 3D e dall’Internet delle cose, non vanno considerati, dunque, come sostitutivi dell’esperienza diretta e personale del fruitore d’arte, ma come potenziatori della stessa: fin quando l’idea di museo tradizionale continuerà ad essere percepita come inconciliabile con l’innovazione digitale e le trasformazioni tecnologiche che quotidianamente investono il nostro presente, come qualcosa di estraneo ed altro, sarà difficile poter cogliere appieno le potenzialità e le opportunità collegate all’applicazione della tecnologia al racconto delle collezioni museali.